A cura di Silvia Riva
L’OMS raccomanda di integrare gli strumenti classici di misurazione della qualità della vita con la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) per meglio orientare le scelte terapeutiche e riabilitative.
Nello scenario sanitario attuale, i pazienti con emofilia hanno una prospettiva di vita completamente diversa rispetto ai decenni passati; questo è legato ai numerosi progressi in campo medico e alla terapia profilattica che hanno ridotto drasticamente gli episodi emorragici e i relativi danni associati. In questa prospettiva, i pazienti emofilici possono oggi aspirare una migliore qualità e aspettativa di vita.
Nonostante questi indiscussi progressi, l’emofilia rimane una patologia con un forte impatto sulla vita quotidiana che spesso compromette il normale svolgimento delle attività, nonché la condizione fisica e il benessere psicologico. Il paziente può aver bisogno di supporto fisico/riabilitativo oppure di un supporto psicologico e, a volte, anche di assistenza sociale. L’emofilia, infatti, col passare del tempo può diventare sempre più invalidante, in quanto determina dolore cronico, compromissione della funzione articolare causando emorragie gravi, a volte molto invalidanti.
Uno dei problemi che la pratica clinica oggi deve affrontare è quello di descrivere in maniera accurata e globale la qualità di vita del paziente emofilico al fine di indirizzarlo a percorsi riabilitativi e di supporto quanto più personalizzati e incisivi.
Accanto ai più tradizionali questionari sulla Qualità della Vita che ci offrono degli indicatori pratici e orientano le scelte terapeutiche, un altro strumento utile e da implementare nella pratica clinica è rappresentato dalla Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF).
L’ICF è una classificazione che mira a descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere tutte quelle difficoltà che nel contesto di riferimento possono causare difficoltà. L’ICF non pone l’accento su una specifica diagnosi e sulle limitazioni ad esse associate bensì mira a valutare in modo preciso e sistematico il grado di funzionamento di una persona (a livello fisico, mentale, sociale). Si tratta di una rivoluzione di pensiero, se ci pensiamo bene, rispetto al tradizionale manuale di classificazione delle malattie, come l’ICD10. Ed è per questo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sottolinea l’importanza di usare l’ICF in modo integrato agli altri strumenti diagnostici più tradizionali.
L’ICF è strutturato in codici alfanumerici ed è strutturato in 4 domini:
- Funzioni corporee
- Strutture corporee
- Attività e Partecipazione (che descrive e classifica le azioni, i compiti e i ruoli che l’individuo svolge nell’ambiente)
- Fattori contestuali (i fattori dell’ambiente che influenzano il funzionamento di un individuo esercitando un’azione positiva, di facilitazione o, negativa, di barriera)
L’analisi dei vari domini dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita.
Ritornando ora allo scenario dell’emofilia, quando potremmo usare l’ICF?
Proviamo a illustrare 3 esempi:
1) Nella routine clinica e nei follow up: per offrire una descrizione dello stato di salute di un paziente sempre più accurata. Se ad esempio voglio stabilire il grado di funzionamento di una funzione (es. articolare) e il grado di performance (es. fare le scale oppure guidare), l’ICF mi permette di fare un’analisi molto approfondita del paziente e aiuta il clinico a fare delle scelte. Possiamo avere due pazienti emofilici perfettamente identici da un punto di vista diagnostico ma molto diversi da un punto di vista funzionale (e quindi con una qualità di vita molto differente!).
2) Pratiche sociali e previdenziali: anche se ben gestita, l’emofilia può determinare nel corso degli anni un certo grado di invalidità. L’attribuzione dell’invalidità civile, in Italia, si basa sulla capacità lavorativa e sull’impossibilità di svolgere compiti e funzioni proprie dell’età. L’ICF puo’aiutare a formulare un quadro preciso delle capacità di una persona e del suo reale coinvolgimento nella vita quotidiana.
3) Nella ricerca: L’ICF vuole stabilire un linguaggio standard ed univoco per la descrizione della salute delle popolazioni allo scopo di migliorare la comunicazione fra i diversi utilizzatori, sostituendosi a diverse versioni linguistiche dei questionari, a validazioni non omogenee e all’impasse comunicativo che può esistere nella somministrazione di misure self-report.
Esistono questionari strutturati con l’ICF (basati su codici universali validi e identici in ogni Paese), checklist e tool specifici (es. core-sets) che possono essere utilizzati sia per una patologia specifica sia per comparare diverse condizioni di salute.
La diffusione dell’ICF non è ancora ad ampio raggio ma le potenzialità di questo strumento sembrano davvero buone per migliorare lo studio sulla qualità della vita dei nostri pazienti. A volte, basta un cambio di prospettiva per scoprire qualcosa che può tornarci utile!
Bibliografia
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