A cura di Gabriele Quintavalle

L’eradicazione dell’inibitore ha sempre rappresentato l’obiettivo fondamentale della gestione dei pazienti con emofilia A che hanno sviluppato tale complicanza, a causa della quale risulta inefficace la terapia sostitutiva con i concentrati di FVIII. L’unica strategia di trattamento in grado di raggiungere questo obiettivo è l’induzione dell’immunotolleranza (ITI), un trattamento molto impegnativo che richiede esposizione protratta e ininterrotta a un concentrato di FVIII, attuabile con diversi regimi, spesso ad alte dosi, quasi sempre con somministrazioni giornaliere. In oltre 40 anni di esperienze cliniche, i diversi studi pubblicati hanno dimostrato che l’ITI è in grado di raggiungere un’eradicazione completa o almeno parziale dell’inibitore nella maggioranza dei pazienti trattati (50-90%).

Lo scenario terapeutico della gestione del paziente con inibitore è stato, tuttavia, rivoluzionato negli ultimi anni dall’introduzione di emicizumab, un anticorpo monoclonale bispecifico che mima la funzione del FVIII ma non inattivabile dagli inibitori anti-FVIII. Emicizumab viene somministrato sottocute e si è rivelato molto efficace nella profilassi delle emorragie nei pazienti con inibitore. La sua efficacia e la facilità di somministrazione nei pazienti, in particolare nei bambini, ha fatto sorgere un acceso dibattito, nella comunità dell’emofilia, sul ruolo dell’ITI ai tempi di emicizumab e su eventuali nuove modalità e regimi di attuazione dell’ITI, in associazione alla profilassi con questo agente non sostitutivo.

Questo tema è stato uno degli ‘hot topic’ discussi durante il Convegno Annuale AICE di Roma. Abbiamo voluto riparlarne in questa intervista con Antonio Coppola, uno dei coordinatori dello studio PROFIT, il Registro Italiano dell’Immunotolleranza, che ha raccolto le esperienze di ITI nei Centri AICE maturate in venti anni (1995-2015) e del quale, proprio nei giorni del Convegno, sono stati pubblicati su Haemophilia i risultati finali.

L’eradicazione dell’inibitore, spiega Coppola, continua a essere l’obiettivo cui mirare, anche nei pazienti in profilassi con emicizumab, perché la gestione di emorragie gravi, traumi, chirurgie con la terapia sostitutiva è più agevole, sicura ed efficace, rispetto al trattamento con agenti bypassanti. Va considerato, poi, che ripristinare la possibilità della profilassi con i concentrati di FVIII può essere determinante per la gestione di alcune comorbilità nei pazienti adulti e anziani e non sono da escludersi effetti benefici sulla salute osteo-articolare, oggi oggetto di molti studi, che vanno al di là della prevenzione delle emorragie.

I dati dello studio PROFIT, continua Coppola, ci confermano l’efficacia dell’ITI, che è duratura nel tempo, essendo pochissime le recidive di inibitore (lo studio ha osservato un follow-up mediano di 10 anni) e, inoltre, consentono di delineare un profilo prognostico dei pazienti, identificando quelli con maggiori possibilità di successo. Tenendo conto di informazioni come la variante genica causa di emofilia e il picco storico massimo di inibitore che il paziente ha manifestato, si può inoltre più consapevolmente scegliere la strategia di trattamento per ciascun paziente, il momento e le modalità con cui affrontare l’ITI, per la quale alcuni Autori stanno già proponendo regimi meno impegnativi (dosi più basse di FVIII e con frequenza di somministrazione ridotta) grazie all’associazione con emicizumab. Ciò potrebbe consentire, aggiunge Coppola, di proteggere i pazienti dal rischio emorragico dimostratosi maggiore in caso si scelga un regime a bassa dose, che richiede anche un tempo per raggiungere l’eradicazione dell’inibitore più lungo, rispetto a quanto osservato utilizzando un regime ad alta dose.

Ecco, quindi, conclude Coppola, che si delineano nuovi approcci per l’attuazione di una ITI di più facile esecuzione, sfruttando la possibilità che emicizumab, riducendo la frequenza degli episodi emorragici in corso di ITI, contribuisca al suo successo e in tempi più brevi.