a cura di Alessandro Gringeri
Non si può non essere trascinati ed emozionati dalla lettura delle drammatiche storie di tre persone dei purtroppo tanti pazienti affetti da emofilia e malattie congenite della coagulazione, nati prima degli anni ‘90.
E non rimanerne molto turbati.
Solo penso al dolore associato ad un emartro acuto, che è mi stato descritto essere della stessa intensità di quello di una colica renale o del parto e immagino o, meglio, leggo le loro stesse parole di che cosa sia stato per loro, bambini, ragazzi e uomini, per non parlare dei loro cari, avere questi episodi e non poter fare assolutamente nulla per interromperli o almeno alleviarli per i loro primi 15-20 anni. Tutto ciò mi fa comprendere meglio la natura di questa malattia e gli sforzi incessanti che dobbiamo continuare a fare per avere cura di queste persone.
E poi c’è l’impatto delle infezioni e delle loro conseguenze, cliniche e personali, i tanti, troppi pazienti che ne sono morti. È per me come una pugnalata leggere che cosa hanno vissuto in quei giorni, quello che dicono e quello che non dicono. È stata quella una storia di errori e sottovalutazioni che dobbiamo ancora analizzare a fondo, per almeno imparare da essi per evitarli nel presente e nel futuro (il passato purtroppo non possiamo cambiarlo).
Come operatori sanitari siamo portati a tenere le distanze dalla malattia e dal malato, in nome di una presunta necessità di obiettività. In realtà lo facciamo per proteggerci: partecipare alla sofferenza fa male. Ma non si tratta però di simpatizzare o di empatizzare con i nostri pazienti (che non è comunque vietato). Piuttosto, conoscere queste storie ci permette di prendere coscienza che oltre alla malattia c’è il malato. E se è la malattia che stiamo studiando e trattando, è il malato che stiamo curando. Così, a fianco della fredda e oggettiva Medicina basata sull’Evidenza scientifica (Evidence-based Medicine), che si occupa (quasi sempre in ritardo) della malattia e del suo trattamento, dobbiamo rafforzare una Medicina basata sulla Narrativa (Narrative-based Medicine) che tratti del malato.
Questa pubblicazione di Farrugia, Smit e Buzzi è particolarmente importante (non è solo interessante), credetemi, e non solo per noi “vecchi”, ma anche o soprattutto per i giovani: ogni progresso (scientifico, culturale, sociale e persino organizzativo) dovrebbe essere associato ad un’analisi di che cosa è stato e non doveva essere e che cosa doveva essere e non è stato, ma con una narrazione non asettica. Come questa. Grazie Albert, Andrea e Cees.
Tre persone le cui date di nascita sono comprese nell’arco di un decennio, provenienti da parti diverse del mondo e con storie diverse. Nati prima della disponibilità di terapie efficaci per l’emofilia e avendo attraversato relativamente indenni il drammatico periodo delle infezioni emotrasmesse, i tre autori condividono la sensazione di essere dei sopravvissuti.
Tutti e tre hanno fatto della malattia un oggetto di interesse, in un caso addirittura professionale, integrandola nella propria esistenza e così forse trovando quello scenario di senso tanto cruciale nella gestione e nell’accettazione della propria condizione.
Farrugia A, Smit C, Buzzi A. The legacy of haemophilia: Memories and reflections from three survivors. Haemophilia. 2022 May 19. doi: 10.1111/hae.14587. Epub ahead of print. PMID: 35588502.