a cura di Veronica Grippa

La relazione medico-paziente è una relazione in continua evoluzione. È sicuramente un rapporto asimmetrico “un incontro tra una fiducia e una coscienza. La fiducia di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla malattia e perciò bisognevole, il quale si affida alla coscienza di un altro uomo che può farsi carico del suo bisogno e che gli va incontro per assisterlo, curarlo, guarirlo”1 ma è anche un rapporto in cui i valori, i principi e i diritti della persona emergono e si fanno spazio con maggiore forza. La constatazione del ruolo centrale assunto dalla persona, in primis attraverso la Costituzione, ha comportato, come a tutti noto, un ripensamento circa la posizione del paziente allinterno della relazione di cura, in ragione del singolo apporto che quest’ultimo è nel potere ed è in grado di esprimere2.

Nel modello ippocratico, esempio tipico della relazione paternalistica, il medico esercitava sul malato un potere esplicito: stabiliva la diagnosi e prescriveva la cura senza bisogno di ottenere altro consenso, se non quello implicito nell’affidamento fiduciale e nella presunta capacità di saper curare 3.

Le preferenze e le scelte del paziente ? “Elementi marginali” e non richiesti al terapeuta come necessari a conferire legittimità alle sue decisioni. Nel lungo percorso di “democratizzazione della medicina e della scienza”, il fine è stato quello di far acquisire quel grado di autonomia che può permettere agli individui di fare delle scelte consapevoli, in linea con i propri valori, favorendo una migliore qualità della vita 4. Con il tramonto del paternalismo si è affermata una relazione medico-paziente più paritaria, sino al riconoscimento eticamente giustificato della autonomia decisionale da parte dell’assistito. Dalla sudditanza del paziente si è passati ad una “alleanza terapeutica5. Da un punto di vista etico, il paternalismo consiste nel ritenere che il principio di beneficità sia prioritario rispetto a quello dell’autonomia. Il paternalismo è un approccio poco funzionale e quasi mai efficace dal punto di vista clinico oltre che ingiustificato dal punto di vista etico. L’esito delle cure scelte, il buon esito, non è il risultato automatico delle prescrizioni mediche, ma il risultato complessivo di vari comportamenti da parte del paziente: compliance e rispetto del regime delle cure. In sostanza entrambe le parti hanno una responsabilità pratica per cui si parla di “corresponsabilità”. Negli ultimi decenni la Suprema Corte si è notevolmente espressa su temi quali il principio di autonomia decisionale dell’assistito, la condivisione delle scelte, la natura fiduciaria del rapporto medico- paziente, modello contrattuale  della relazione di cura ect.

Allo stato attuale prevalgono e sono determinanti:

  • da un lato le scelte espresse dall’assistito, cui è riconosciuto un potere di autodeterminazione sulle decisioni che riguardano la sua salute;
  • -dall’altro le garanzie “contrattuali” che il medico gli offre, se non quanto al risultato da raggiungere, almeno circa i mezzi da impiegare e, in particolare, la sicurezza delle cure e l’adeguatezza delle stesse, se non proprio sulla loro necessità, indifferibilità o urgenza6.

Questi ambiti ben regolamentati dalla giurisdizione vengono integrati da aspetti  etici e morali che contestualizzano l’arte medica in una dimensione umana.

Nell’ottica dell’alleanza terapeutica il paziente è sempre di più parte integrante di un percorso di cura condiviso in cui alla fiducia nel medico e nelle sue competenze si affiancano le preferenze, le scelte e l’autodeterminazione del paziente. Questo è il presupposto di molti modelli operativi moderni: Shared Decision Making  è uno di quelli in cui le parti collaborano in maniera sinergica e in modo responsabile. I principi etici dell’SDM si ritrovano nel concetto di Patient-Centered Care del Picker Institute, che risale al 1988 e nell’approccio alla qualità dell’IOM (Institute of Medicine), divisione dell’Accademia Nazionale delle Scienze, dell’Ingegneria e della Medicina, fondata da Lincoln. In Europa l’SDM è stato oggetto del Seminario di Salisburgo del 2010, cui hanno partecipato 18 Paesi. Tecnicamente , con questo termine (Shared Decision Making) si indica “un approccio secondo cui i medici e i pazienti condividono la migliore evidenza disponibile quando devono affrontare il compito di prendere decisioni e quando i pazienti sono supportati al fine di valutare le opzioni e realizzare consapevolmente le loro preferenze.”7.

I principi etici sui quali si basa il Processo Decisionale Condiviso o Shared Decision Making (PDC- SDM) sono il principio di autodeterminazione dell’individuo e quello dell’autonomia relazionale. Mentre il primo riguarda l’intrinseca e inalienabile esigenza dell’individuo di determinare le proprie scelte, soprattutto quelle che riguardano il proprio benessere, il secondo fa riferimento al fatto che le scelte, benché formalmente in autonomia, in realtà siano condizionate dalle relazioni interpersonali e dalla reciproca dipendenza in cui l’individuo è implicato8. Il paziente si giova di un supporto tecnico e il clinico dell’aiuto del paziente a comprendere i problemi della sua vita. Nell’SDM si realizza un’autonomia relazionale, cosa diversa dall’autonomia individuale. Così si superano il paternalismo tradizionale 9 e il “consenso informato”10 in quanto semplice trasferimento di informazioni e conseguente rispetto delle scelte operate dal paziente.  Non è sufficiente “informare” il paziente dei rischi e dei benefici a cui va incontro optando per un trattamento piuttosto che per un altro: è necessario che il medico condivida con il paziente tutte le eventuali possibilità terapeutiche e che decida con lui quella più indicata per il suo caso specifico.  Accanto a decisioni cliniche praticamente “scontate” ce ne sono altre dubbie, dove gli esiti delle opzioni si equivalgono o quasi, ma cambiano le ricadute sulla vita dei pazienti e il bilancio rischi-benefici. In queste situazioni i trials suggeriscono che l’SDM e il dialogo clinico-paziente migliorano la soddisfazione, la tolleranza alle cure e a volte gli esiti sulla salute fisica.

Superare il paternalismo significa dunque superare l’idea che il medico sia l’unico ad avere diritto di decidere in nome del bene del malato. Il paziente è portatore di valori, preferenze, vissuto personale che influiscono inevitabilmente sulle sue decisioni. Il termine “preferenza” non sta ad indicare una sorta di desiderio generico bensì la volontà di essere curato in un modo piuttosto che in un altro (fermo restando l’appropriatezza e l’efficacia delle alternative), di correre alcuni piuttosto che altri rischi, di sopportare o meno alcuni piuttosto che altri disagi.

La dimensione comunicativa11 è una componente fondamentale nelle scelte decisionali e a dimostrarlo sono diversi studi clinici che si sono occupati di individuare metodi, tecniche e competenze necessarie per implementare la condivisione dei processi decisionali. “Il primo step riguarda la capacità di sviluppare competenze comunicative da parte dei medici. C’è evidenza che una comunicazione appropriata migliora la consapevolezza dei pazienti e la loro soddisfazione. Il secondo step è la formazione dei pazienti. I pazienti sono addestrati a sviluppare la loro capacità di dialogo con i medici tramite un addestramento che li mette in grado di elaborare schemi di domande da rivolgere al medico in occasione di eventi diagnostici. L’evidenza di questi studi è che i pazienti ricavano un beneficio in termini di riduzione dell’ansia, soddisfazione e consapevolezza. Il terzo ed ultimo step riguarda l’adozione di vere e proprie tecniche decisionali, nello specifico finalizzate a dare al paziente elementi concreti di analisi per prendere decisioni informate”12. Smart Health Choices è il titolo di un libro australiano che punta a mettere i pazienti in condizione di partecipare al dialogo con i clinici e porre domande adeguate. Scritto da un professore di epidemiologia dell’Università di Sydney assieme a un altro clinico e a due non-medici esperti di comunicazione e divulgazione, cerca di orientare nelle problematiche sanitarie, mettendo a fuoco i punti chiave da chiarire. Heather Shepherd et al.(2011, 2015) hanno sperimentato l’ASK (AskShareKnow), fatto di sole tre domande (1. Quali opzioni ho? / 2. Quali sono i possibili benefici e rischi di queste opzioni? / 3. Quale probabilità ha ciascuno di questi benefici e rischi di capitarmi? E che cosa accadrà se non faccio niente?), che fanno da punto di partenza per la discussione. Aiutano a non tralasciare lati razionalmente importanti in ogni scelta clinica13. L’SDM  ha moltissimi aspetti positivi non solo legati alla sfera psicologica del paziente e al suo grado di soddisfazione rispetto al percorso di cura ma anche in ambito economico rispetto alla riduzione dei costi e della spesa sanitaria riducendo overtrattamenti. Gli studi però non offrono a tal proposito prove conclusive ma in prospettiva si può immaginare che l’SDM ben fatta e unita ad un’opera di empowerment possa effettivamente dare risultati economici soddisfacenti. In ogni caso dovremmo sempre ricordare quanto è anche regolamentato dalla Legge 219/17, art 1, comma 8: “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Se la medicina è un’arte ,“forse tra le più sublimi”, legata alla persona, se il suo scopo è “ristabilire l’equilibrio perduto”, se il tempo della comunicazione tra medico-paziente è il tempo della cura/prendersi cura, se, come diceva Umberto Veronesi, dobbiamo ritornare alla “medicina della persona” allora “per curare qualcuno dobbiamo sapere chi è, che cosa pensa, che progetti ha, per che cosa gioisce e per che cosa soffre. Dobbiamo far parlare il paziente della sua vita, non dei suoi disturbi. Oggi le cure sono fatte con un manuale di cemento armato, ma così non è curare. La malattia ha una storia, ha un ambiente in cui sorge, ha un soggetto in cui vive e si esprime per simboli oltre che per “dati”: questa è la definizione della medicina in senso olistico relazionale.”.


Per Approfondire

  1.  Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari, carta degli operatori sanitari, città del vaticano 1995, n2.
  2.  Corte Cost. 438/2008, in www.Dejure.Giuffrè.it dove testualmente: “il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che «la libertà personale è inviolabile», e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». […]. Analogamente Corte Costituzionale 253/2009, in www.Dejure.Giuffrè.it.
  3.  N.M. Di Luca e T. Feola, Medicina Legale, Rapporto Medico- Paziente e Responsabilità Professionale Del Medico, Edizioni Minerva Medica, 2017.
  4.  Marsico G: Bioetica, voci di donne. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2002.
  5. Pellegrino, E.D. and Thomasma D.C., A Philosophical Basis of Medical Practice, Toward a Philosophy and Etico of the Healing Professions, Oxford University Press, Oxford 1981.
  6. N.M. Di Luca e T. Feola, Medicina Legale, Rapporto Medico- Paziente e Responsabilità Professionale Del Medico, Edizioni Minerva Medica, 2017.
  7. Elwyn G, Coulter A, Laitner S, Walker E, Watson P, Thomson R. Implementazione del processo decisionale condiviso nel SSN. Bmj. 2010; 341 :c5146. doi: 10.1136/bmj.c5146. Pubmed
  8. “Shared Decision Making: A Model for Clinical Practice” PMCID: PMC3445676
  9. Holroyd, J. Relational Autonomy and Paternalistic Interventions. Res Publica 15, 321 (2009). https://doi.org/10.1007/s11158-009-9090-6
  10. Un documento ufficiale del Comitato Nazionale per la Bioetica – Informazione e consenso all’atto medico, del 1992- descrive in maniera molto dettagliata il tema della responsabilità : “ Il consenso informato, che si traduce in una più ampia partecipazione del paziente alle decisioni che lo riguardano, è sempre più richiesto nelle nostre società. Si ritiene tramontata la stagione del paternalismo medico, in cui il sanitario si sentiva , in virtù del mandato a esplicare nell’esercizio della professione, legittimato a ignorare le scelte e le inclinazioni del paziente e a trasgredirle quando fossero in contrasto con le indicazioni cliniche in senso stretto.”. La transizione si gioca quindi tra il modello sacrale- rafforzato dalla concezione dell’etica medica liberale- e il modello moderno, dove al paziente spetta un ruolo attivo (“ partecipazioni alle decisioni che lo riguardano” specifica il Comitato Nazionale per la Bioetica).
  11. Ochsner J v.10(1); PMC3096184
  12. Shared decision making: A model for clinical practice, di G. Elwyn et al. del 2012, contiene riflessioni su casi concreti e suggerimenti pratici per fare SDM
  13. Shepherd et al. del 2015 sull’AskShareKnow