a cura di Maria Francesca Mansueto
Nel corso dell’ultimo convegno AICE tenutesi a Sorrento ad ottobre scorso, l’intervento dei rappresentanti delle Associazioni dei pazienti ha riproposto all’attenzione un problema che alla luce dei continui progressi del trattamento dell’emofilia, inserito nella Global care, pensavamo fosse superato: l’emofilia in classe!! Andando oltre il caso in sé, permane costante la riflessione che a farne le spese sono i bambini e la loro attività principale: apprendere e sviluppare il comportamento prosociale a scuola. La scuola, infatti, si propone come luogo di inclusione che si basa sul riconoscimento dell’importanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti, ognuno con le proprie caratteristiche di personalità e con i propri bisogni.
Lo conferma anche il patto di corresponsabilità, che approfondisce i principi e i comportamenti che scuola, famiglia e alunni condividono e si impegnano a rispettare. Coinvolgendo tutte le componenti, tale documento si presenta dunque come strumento base dell’interazione scuola-famiglia. (Decreto del Presidente della Repubblica 21 novembre 2007, n. 235). Durante gli anni della scuola dell’infanzia, il processo di socializzazione permette al bambino di confrontarsi, di vivere il gruppo, di capire le dinamiche sociali e regolare quindi il proprio comportamento sulla base di regole sociali, favorendo così la prima autonomia individuale. Tuttavia, alcune volte, la scuola può trasformarsi in uno degli ostacoli più difficili da superare, specie se il bambino che la frequenta è affetto da una malattia cronica, rara, come l’emofilia. Le difficoltà possono essere alimentate da insegnanti impreparati a gestire la problematica, da ragazzi restii a parlare della malattia e dai genitori intimoriti dai problemi clinici che potrebbero presentarsi a causa della malattia.
La mancanza, poi, di informazione a livello generale e l’assenza di una condivisione sociale riguardo alle reali manifestazioni dell’emofilia e alle opportunità terapeutiche che hanno recentemente migliorato le condizioni di vita dei soggetti affetti da questa patologia hanno un impatto negativo sulla loro quotidianità. Non essendo prevista la figura di un sanitario, spesso nelle scuole il ruolo informativo sostanziale è svolto dai genitori, gli unici in grado di fornire un quadro specifico della situazione generale del bambino, dei suoi bisogni e delle sue caratteristiche. Molte volte, infatti si assiste a un blackout comunicativo scuola-famiglia, venendo meno quello che è il ruolo strategico di apertura comunicativa e cooperazione, provocando inevitabilmente un abbassamento della qualità della relazione educativa. Per questo motivo, promuovere un ambiente informato e disponibile può contribuire a creare un tessuto di solidarietà e di accoglienza che aiuta questi bambini a non sentirsi diversi: una comunità scolastica che impara ad accogliere è una comunità che non solo sostiene il bambino che ha una malattia, ma aiuta l’intera famiglia ad affrontare le difficoltà che potrebbero presentarsi e a sopportarne il peso. I bambini e gli adolescenti affetti da emofilia hanno il diritto di partecipare in modo completo alla vita scolastica e sociale, come tutti i loro coetanei. Tuttavia, quello che ancora adesso ci viene raccontato, soprattutto dai genitori di bambini che frequentano la scuola primaria di primo e secondo grado, è che i loro figli rischiano di essere “stigmatizzati” sia dai compagni, sia dagli stessi insegnanti, i quali possono manifestare atteggiamenti di paura o di iperprotezione, incidendo negativamente sia sulla socialità che sulla crescita personale del bambino, che diventerà un adolescente con dei limiti.
Il concetto di base è che la corrispondenza tra il modo di percepire sé stessi e il modo di essere percepiti conferma l’identità personale, generando delle emozioni positive, dei rinforzi che migliorano la qualità delle prestazioni scolastiche. Se invece l’immagine del figlio è associata alla malattia, sarà difficile che a scuola lo considerino in grado di svolgere qualsiasi attività, evidenziandone la differenza delle opportunità educative. Alcuni Autori affermano che “un bambino che riscontra difficoltà a scuola non è il solo ad avere problemi, poiché il focus non è né il bambino, né la scuola intesa come sistema, ma l’obiettivo che diventa quello di modificare i pattern comunicativi esistenti tra quel bambino e gli altri sistemi coinvolti”. Nello specifico ne vengono individuati quattro: l’individuo, la famiglia, la scuola e il contesto sociale.
Allora che fare? Come permettere ai bambini emofilici di partecipare alle attività scolastiche, senza sentirsi diversi rispetto agli altri compagni? Un primo passo da compiere è quello di aprire il canale di informazione, seppur in maniera preventiva, sulla malattia e sulla gestione delle emergenze, passo che permetterebbe agli insegnanti di organizzare le attività scolastiche limitando quanto più possibile le situazioni potenzialmente rischiose o affrontare eventuali traumi senza creare allarmismi che farebbero sentire il bambino diverso. Insegnanti informati e formati sulla malattia, inoltre, avrebbero un effetto rassicurante per i genitori i quali, ritenendo il figlio in classe al sicuro, accrescerebbero il rapporto di fiducia (il genitore deve essere comunque sempre avvisato dai docenti nel caso il proprio figlio vada incontro ad un trauma).
Un elemento che può facilitare la comunicazione insegnante-alunno è la consapevolezza che via via il bambino acquisisce della propria condizione clinica, che permette all’insegnante di varcare la soglia dell’intimità e affrontare l’argomento in modo aperto, cogliendone sia aspetti pratici che vissuti emozionali, come elementi caratterizzanti la costruzione del proprio sé. Per rispondere al quesito posto nel titolo “rapporto emofilia e scuola: un’alleanza possibile?” è necessario creare un percorso codificato tra famiglia, scuola e Centro emofilia, orientato a perseguire il miglioramento dell’offerta formativa, della qualità dell’azione educativa e didattica, con una sempre maggiore attenzione alle specifiche difficoltà degli alunni, riducendone così gli eventuali disagi formativi, emozionali e relazionali.
Per approfondire…
- Decreto del Presidente della Repubblica 21 novembre 2007, n. 235
- Caprara GV, Pastorelli C, Barbaranelli C e Vallone R., Indicatori della Capacità di Adattamento Sociale in Età Evolutiva 7., 1992.
- Grazzani Gavazzi I. Psicologia dello sviluppo emotivo, 2014 Editrice Il Mulino 5. Balla S, Cicchetti. Vineland Adaptive Behavior Scales II, 1984 6.
- Malagoli Togliatti Marisa e Telfner Umberta, Dall’individuo al sistema: Manuale di psicopatologia relazionale, Bollati Boringhieri, 1991.
- Orben A, Tomova L., e al., The effects of social deprivation on adolescent social development and mental health in Lancet Child Adolesc Health, 2020.