a cura di  Veronica Grippa

Partiamo da un presupposto: azzerare  l’errore in medicina è impossibile.

La consapevolezza della disponibilità di un pluralismo di opzioni diagnostiche e terapeutiche deve camminare di pari passo con la disponibilità intellettuale da parte del medico a valutare e adottare ciò che la comunità scientifica (nazionale e internazionale) ufficialmente esplicita e condivide, piuttosto che assumere decisioni dal carattere autoreferenziale[1]. In passato il buon medico era colui che, forte delle proprie conoscenze e della propria esperienza sul campo, applicava ciò che ipotizzava essere il provvedimento gestionale e terapeutico maggiormente efficace. Oggi, invece, il buon medico è colui che confronta la propria “intuizione” (frutto di formazione ed esperienza) con l’Evidence Based Practice (medicina delle evidenze).  Questo “confronto” non implica in alcun modo “la morte della libertà clinica” da parte del medico e non è assolutamente coercizione della libertà dell’agire professionale ma è un modo di cercare nelle prove scientifiche una legittimazione delle proprie decisioni. L’importanza del sapere scientifico,  il crescente interesse per la standardizzazione e omogeneizzazione delle risposte in ambito sanitario e il valore della loro condivisione è tale che il Ministero della Sanità, in Italia, incluse già nel piano sanitario triennale 1998-2000 un progetto teso ad «avviare un programma nazionale per l’elaborazione, la diffusione e la valutazione di linee guida e percorsi diagnostici e terapeutici». A partire dagli anni ‘80 tutti gli “addetti ai lavori” (esperti, studiosi, enti governativi, decisori di spesa) hanno iniziato a servirsi in maniera sempre più importante di strumenti che potessero codificare e diffondere il sapere: protocolli, conferenze di consenso, rapporti di technology assessment[2]. Tra questi, proprio le linee guida sono diventate uno degli strumenti più ampiamente utilizzate basandosi sulla  cosiddetta evidence based medicine. Esse, in sostanza, “preselezionano le informazioni utili a impostare la soluzione di una questione clinica con la maggior possibilità di successo e il minor dispendio di risorse possibili”[3]. Secondo una nota e diffusa definizione, le linee guida, quindi, costituiscono “raccomandazioni di comportamento clinico”, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”[4]. Nello specifico con sentenza n. 28187/2017, la Cassazione penale ha definito le linee-guida come: “sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni”, detto in altri termini un ausilio nel processo decisionale. Più recentemente, con sentenza n. 8770/2018, la Suprema Corte penale, a Sezioni Unite, ha definito nuovamente le linee guida come “un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti”. Secondo questa definizione le linee guida sono, appunto, delle raccomandazioni elaborate da vari studiosi esperti che indicano le condotte terapeutiche da adottare in relazione a determinati situazioni cliniche, ovvero comportamenti da tenere al fine di curare una determinata malattia partendo dal presupposto che sia possibile con certezza o quasi certezza portarla a guarigione”[5]. La questione non è tanto l’uso delle linee guida, ma la forza vincolante delle medesime. Le linee guida, stando a quanto riportato fino ad ora, non possono e non devono essere considerate norme giuridiche, ossia regole di diritto positivo. Rientrano nella categoria delle cosiddette soft law proprio perché si basano sull’ampia approvazione e condivisione della comunità scientifica, conferendo loro un forte carattere persuasivo senza essere  in alcun modo coercitive[6].  L’autonomia decisionale del medico resta una componente solida della sua attività e professione. Perché se ispirarsi e confrontarsi con l’Evidence Based Practice è eticamente doveroso, è altrettanto indispensabile che l’agire del medico resti libero anche al fine di offrire al paziente la cura più appropriata e che più gli si adatta. Le variabili che entrano in gioco rispetto al caso specifico di un determinato paziente, piuttosto che un altro, sono talmente tante per cui sarà comunque decisione del medico (in condivisione con il paziente/ Shared Making Decision) optare per il percorso più adeguato a quello specifico caso clinico. In alcune situazioni i medici hanno espresso preoccupazione in merito alle GCP ritenendo che ostacolino e limitino l’autonomia del medico e del paziente[7]. Non è possibile,  però, in queste pagine, dilungarci sulle controversie e sulle interpretazioni legislative legate alla legge 24/2017 in tema di “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che, con l’art. 5 (Buone pratiche clinico assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida) e l’art. 6 (Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria) è entrata nel merito dell’impostazione dell’esercizio professionale e dell’esenzione parziale dalla responsabilità professionale. Tale legge ha modificato l’impostazione data dalla “legge Balduzzi” del 2012 che già prevedeva, al comma 1 dell’art. 3, “l’esenzione dalla responsabilità penale per gli esercenti le professioni sanitarie che si attenevano a “linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”[8]Rimandiamo questa riflessione a un altro articolo. Quello che ci preme sottolineare, in questa sede, è la necessità di consultare le linee guida per un doveroso riscontro clinico e contestualizzare (rispetto al paziente che abbiamo in carico) quanto emerge a livello della comunità scientifica internazionale. Nessuna imposizione giuridica, quindi, ma un dovere etico che non limita in alcun modo la “libertà clinica” e che ha lo scopo di supportare, con metodo, una decisione che rimarrà e deve rimanere, sempre, frutto di un percorso condiviso tra medico e  paziente.

BIBLIOGRAFIA

[1] Medicina Legale orientata per problemi, Medicina e Nursing delle evidenze, Michele Zagra, Antonina Argo, Elvira Ventura Spagnolo

[2] Le Linee Guida ed il loro valore nel contesto medico-legale, M. Zagra, A. Argo, S. Proccianti

[3] Lippi Bruni M, Nobilio L, Ugolini C (2009), Economic incentives in general practice: the impact of pay for participation and pay for compliance programs on diabetes care, Health Policy, 90 (2-3):140-148. Sono previsti dei sistemi di incentivi nel caso di adesione volontaria alle linee guida: ad esempio, i sistemi “pay for performance” o, più propriamente “pay for compliance” per i medici di medicina generale

[4] Field MJ, Lohr KN (a cura di) (1992), Guideline for clinical practice: from development to use, Washington, Institute of Medicine, National Academy Press, p 35. Gli autori testualmente descrivono le guideline come “systematically developed statement to assist the practitioner and patient decisions about appropriate health care for specific clinical circumstances”.

[5] Le Linee Guida ed il loro valore nel contesto medico-legale, M. Zagra, A. Argo, S. Proccianti

[6] Lippi Bruni M, Nobilio L, Ugolini C (2009), Economic incentives in general practice: the impact of pay for participation and pay for compliance programs on diabetes care, Health Policy, 90 (2-3):140-148. Sono previsti dei sistemi di incentivi nel caso di adesione volontaria alle linee guida: ad esempio, i sistemi “pay for performance” o, più propriamente “pay for compliance” per i medici di medicina generale

[7] PMID: 19338401 DOI: 10.3171/2008.12.PEDS08278 Shobhan Vachhrajani,Abhaya V Kulkarni, John RW Kestle

[8] Medicina Legale orientata per problemi, Medicina e Nursing delle evidenze, Michele Zagra, Antonina Argo, Elvira Ventura Spagnolo