La malattia di von Willebrand (vWD) è la più comune delle malattie emorragiche congenite con una prevalenza riportata in studi epidemiologici dell’1-2 %. Tuttavia, i casi clinicamente rilevanti hanno una prevalenza dieci volte più bassa. La patologia ha usualmente una trasmissione autosomica dominante, ma può essere recessiva nelle forme clinicamente più severe, ed è causata da una deficienza o anormalità del fattore di von Willebrand (VWF) che è una proteina della coagulazione che ha diverse funzioni: favorisce l’adesione piastrinica al subendotelio legandosi alla glicoproteina Ib della membrana piastrinica e agisce da carrier del fattore VIII, proteggendolo dalla inattivazione precoce mediante attivazione del sistema APC. Questo spiega perché in genere un calo significativo del VWF si associa ad una riduzione anche dei livelli plasmatici di FVIIII.
Esistono diversi tipi di malattia di vonWillebrand. Grossolanamente la vWD di tipo 1 è caratterizzata dalla ridotta concentrazione del VWF la vWD di tipo 3 dall’assenza totale dello stesso ed è in genere casusata da mutazioni omozigoti o eterozigosi composita nel gene del VWF, la vWD di tipo 2, caratterizzata da alterazioni funzionali specifiche del VWF.
SINTOMI
I sintomi caratteristici della vWD sono rappresentati da una aumentata tendenza ai sanguinamenti mucocutanei (epistassi, menorragie, ecchimosi, e sanguinamenti gastrointestinali), dopo procedure invasive quali estrazioni dentarie einterventi chirurgici o traumi maggiori. La frequenza e la gravità delle emorragie sono in genere correlate con il ipo di vWD, e l’entità della riduzione dei livelli circolanti di FVIII e VWF. Pertanto, i pazienti con vWD di tipo 1 hanno generalmente manifestazioni meno gravi, di solito secondarie a eventi traumatici o procedure invasive, dei pazienti con vWD di tipo 2 e 3, nella quale il calo importante associato di FVIII può determinare un ischio di manifestazioni emorragiche rilevanti come gli ematomi muscolari e gli emartri, tipici dell’emofilia A.
DIAGNOSI
La diagnosi e l’appropriato inquadramento della vWD dovrebbe essere posta in centri specializzati. La precisa definizione diagnostica del tipo presuppone la combinazione di una documentata anamnesi emorragica personale e familiare positiva e una riduzione dei livelli di VWF. La corretta valutazione della storia emorragica ha trovato ausilio recentemente nell’uso di questionari standardizzati in modo da produrre uno “score emorragico” ad hoc (ISTH Bleeding Score) per la raccolta dei dati anamnestici. Uno score ≥ di 3 per i maschi e uno di 5 per le femmine potrebbe essere suggestivo di vWD.
Dal punto di vista laboratoristico, il test di riferimento rimane il dosaggio dell’attività di cofattore della ristocetina, (VWF:RCo) che sfrutta la capacità del VWF di interagire con la Gp Ib della membra piastrinica in presenza di ristocetina. Altri test utili per la corretta tipizzazione sono il dosaggio dell’antigene (VWF:Ag) e del FVIII. Sono inoltre disponibili altri test alla portata di laboratori specializzati come l’analisi multimerica, il test di legame per il FVIII etc. Già comunque il rapporto VWF:RCo/VWF:Ag < 0.6 è utile per suggerire la diagnosi di tipo 2. La diagnosi di vWD viene considerata in presenza di una riduzione dei livelli di VWF:RCo< 40 UI/dl in presenza di uno score emorragico come sopra suggerito,.
La maggior parte di questi pazienti (fino all’80%) presenta un difetto quantitativo parziale di VWF (tipo 1) (6. Nella vWD tipo 1 gli esami di laboratorio mostrano una riduzione consensuale dell’antigene del VWF (VWF:Ag) e del VWF:RCo, senza grossolane anomalie nella distribuzione e struttura multimerica del VWF (7). Il rimanente 20% dei casi presenta un vWF anomalo qualitativamente e vengono classificati come vWD tipo 2. In questi pazienti si assiste ad un calo sproporzionato del VWF:RCo rispetto al VWF:Ag, con evidenti anomalie del pattern multimerico del VWF plasmatico, fatta eccezione per il tipo 2 N, in cui il difetto è situato nella regione NH-2 terminale del VWF preposto al binding del FVIII e che presenta solitamente multimeri normali ed un calo sproporzionato del FVIII rispetto al VWF. Infine, rari pazienti (circa 3-5 casi per milione) presentano un’ereditarietà recessiva dovuta alla presenza di due alleli difettosi con completa assenza del VWF nel plasma e nelle piastrine (vWD tipo 3).
La diagnosi di vWD tipo 1 rappresenta il paradigma delle difficoltà che si incontrano nella pratica clinica nella diagnostica dei disordini emorragici lievi eterozigoti. Le malattie trasmesse in forma recessiva (ad esempio vWD tipo 3 o carenza di FVII) o emizigote (vedi sindromi emofiliche) presentano in genere un evidente quadro clinico e di laboratorio, caratterizzato da una diatesi emorragica severa con virtuale assenza del fattore in circolo. In contrasto, disordini emorragici come la vWD tipo 1 presentano un fenotipo clinico e di laboratorio lieve o moderato. La penetranza incompleta e la variabile espressività dovuta a fattori ambientali (ad es., età, stress, gravidanza, mestruazioni, farmaci) ed epigenetici (ad es., gruppi sanguigni ABO) contribuiscono a spiegare l’eterogeneità di questo fenotipo. è ben nota l’ampia sovrapposizione dei livelli plasmatici di VWF che si osserva tra i pazienti con forme lievi di vWD tipo 1 e i soggetti normali determinando una bassa sensibilità dei test laboratoristici nella vWD. D’altra parte, sulla base dei dati storici riportati in letteratura, anche la storia emorragica risulta scarsamente discriminante, visto che almeno 1 sintomo emorragico è riportato fino al 25% dei soggetti “normali”. Sulla base di questa scarsa sensibilità dei test di laboratorio e la bassa specificità della storia emorragica che complica la diagnostica delle forme lievi di vWD, si è suggerito di considerare la presenza di bassi livelli di VWF come un “fattore di rischio” emorragico.
TRATTAMENTO
Il trattamento e la prevenzione degli episodi emorragici nella vWD può giovarsi della somministrazione della Desmopressina e/o della Somministrazione dei concentrati di fattore VIII conteneti anche il VWF.
Desmopressina: La desmopressina è un analogo sintetico della vasopressina che provoca un incremento del VWF e del FVIII nel plasma dei pazienti con emofilia A lieve e con vWD inducendo il rilascio del VWF contenuto nei corpi di Weibel-Palade, presenti nelle cellule endotelialii. Il farmaco viene somministrato per via sottocutanea o per via endovenosa ad un dosaggio di 0,3 mcg/Kg Se somministrata per via e.v. la DDAVP viene diluita in 50-100 cc di fisiologica e infusa in 30 minuti. LA somministrazione di DDAVP provoca in genere un incremento dei livelli di VWF e di FVIII di 2-4 volte i livelli basali.
La responsività alla desmopressina va testata da paziente a paziente mediante somministrazione di una dose test con determinazione dei livelli plasmatici di VWF e di FVIII dopo 1 ora e almeno dopo 4 ore dal termine dell’infusione per valutare l’emivita delle due proteine. La DDAVP è di solito efficace nei pazienti con vWD tipo 1, in cui sono normali i depositi endoteliali di VWF, mentre risulta assolutamente inefficace nel tipo 3 e controindicata nel tipo 2B perché il rilascio di VWF anomalo con aumentata affinità per la glicoproteina Ib sulla membrana piastrinica può causare una marcata, anche se transitoria piastrinopenia. Tachicardia, cefalea e flush sono sintomi minori caratteristici spesso associati alla somministrazione di desmopressina. Particolare attenzione va fatta nel ridurre l’assunzione di liquidi per l’azione antidiuretica insita nel farmaco stesso che potrebbe provocare anche iponatriemia grave (specialmente nel bambino sotto ai 4 anni e nel paziente cardiopatico). Il trattamento con DDAVP non può essere continuato per lunghi periodi perché spesso compare il fenomeno della tachifilassi con una progressiva riduzione della responsività al farmaco.
Concentrati di fattori della coagulazione:
Concentrati di Fattore VIII ricchi di vonWillebrand: i concentrati plasmaderivati di fattore VIII ricchi di VWF sono concentrati virus inattivati ad intermedia purezza, che contengono sia fattore VIII che VWF in proporzioni variabili.. Tale rapporto influisce sui livelli post-infusionali delle due componenti e pertanto devono essere considerati per evitare livelli eccessivi di FVIII o al contario livelli inadeguati di VWF. Dopo l’infusione in genere l’emivita del fattore VIII è approssimativamente il doppio di quella del vWF:Ag a causa della produzione endogena di FVIII cheviene stabilizzata dalla presenza della proteina carrier VWF L’obiettivo del trattamento in caso di chirurgia maggiore è di mantenere i livelli di FVIII intorno all’80-100% per i primi 2 giorni e almeno del 50% per altri 5-7 giorni. Una dose di carico di 50 UI/Kg di VWF:RCo è usualmente somministrata prima di una procedura chirurgica, seguita da stessa dose nei due giorni successivi. È comunque consigliabile almeno per i primi giorni il monitoraggio dei livelli dei due fattori per mantenere il target desiderato. In caso di sanguinamenti spontanei o per procedure invasive minori vengono invece somministrate dosi di 20-60 UI/Kg di RCo per 1-3 giorni.
Fattore vonWillebrand purificato-Wilfactin©:è stato recentemente prodotto un concentrato purificato di fattore di von Willebrand plasma-derivato virus inattivato con bassissimo contenuto di fattore VIII. L’utilità di questo prodotto sta nel fatto che la produzione di FVIII endogena nella malattia di vonWillebrand risulta essere normale e la somministrazione di fattori contenenti anche FVIII potrebbe provocare un eccessivo aumento di FVIII ed esporre il paziente ad un aumentato rischio trombotico. Tuttavia livelli emostaticamente significativi di fattore VIII vengono in genere raggiunti dopo 6-8 ore dall’infusione di Wilfactin. Pertanto, in caso di eventi emorragici si rende necessaria la co-somministrazione iniziale anche di una dose di FVIII mentre in caso di chirurgia elettiva il farmaco dovrà essers somministrato 4-6 ore prima dell’inizio della procedura.